Per una visione psicosomatica dell’ ansia

L’Ansia, (e l’ attacco di panico in particolare), si esprime primariamente attraverso il corpo, con sintomi che spesso ci inducono sensazioni di pericolo, come se stessimo per morire.
Abbiamo disturbi cardiocircolatori, gastrointestinali, respiratori.


L’imprevedibilità, l’impossibilità di controllare ciò che ci sta accadendo e l’apparente mancanza di senso, ci gettano nello sconforto, e molto spesso, anche un umore depresso si accosta a questa atmosfera debilitante.

Siamo pervasi dall’ angoscia, da un qualcosa che non è definito e che ci può prendere in qualsiasi momento.A differenza della paura, l’angoscia non ha un oggetto: è come se ci trovassimo al buio, esposti e vulnerabili, chiusi in un circolo che sembra destinato a ripetersi.

 

Pronto Soccorso, medico di base, farmaci: l’ansia porta a curare il corpo


La prima azione che generalmente si compie per affrontare l’ansia ed i suoi sintomi, è dettata spesso dall’urgenza: proprio perchè ci sembra di morire, si corre al Pronto Soccorso, uscendone il più delle volte con una diagnosi che parla di ansia, ma che non ci dice nulla riguardo ciò che ci sta accadendo.

In seguito, ci si rivolge al Medico di Base o ai  vari specialisti che ci sembra possano intervenire sui vari disturbi fisici avvertiti.In sintesi, si tratta l’ansia come fosse una malattia fisica e si va alla ricerca di una cura.


Generalmente, si inizia a seguire una terapia farmacologica a base di ansiolitici e antidepressivi, fiduciosi nel potere curativo di queste compresse. Con il passare del tempo, però, l’ansia rimane e noi non sappiamo davvero che fare.
Fino a qui siamo rimasti sul corpo, e su ciò che il suo malfunzionamento ci induce a cercare.


Ma l’Ansia è una malattia fisica?


L’Ansia è sicuramente la manifestazione di un disagio che coivolge il corpo, ma i sintomi fisici sono l’effetto di cause che vanno ricercate nella psiche.
L’ansia è quindi un fenomeno psicosomatico.
Chi ne soffre, tuttavia, rimane concentrato sul SOMATICO senza considerare la parte psicologica che ne sta all’origine.


Perchè non si pensa ai fattori psicologici che possono determinare l’ansia?

Già nella ricerca di una soluzione all’ansia, si esprime una caratteristica spesso comune in chi ne soffre: la presenza di uno stile di pensiero razionale e  pragmatico, slegato dalla sfera emotiva ed affettiva.

Le emozioni, cioè,  i vissuti che possiamo provare riguardo agli accadimenti della vita, alle relazioni, al lavoro ecc. non sono sentite ed elaborate pienamente. Soprattutto se esse sono legate al dolore o alla sofferenza, si opera un distacco per difesa: per non sentirle, si mettono sullo sfondo della coscienza, e si procede utilizzando una razionalità che senza emozione, ci fa vivere la realtà in modo rigido e senza colore.

 

L’incapacità a pensare e sentire  le emozioni

Recenti studi in psicoterapia, tuttavia, hanno ipotizzato che non solo vi è una difesa da ciò che per noi è conflittuale gestire, ma una vera e propria incapacità a pensare quanto viviamo emozionalmente, e quindi a contenerlo e a metabolizzarlo.

Bion, uno psicoanalista, ha fatto riferimento alla Funzione Alfa della madre, ossia alla suo funzione di contenimento delle emozioni nascenti del bambino, gli elementi Beta, che grazie alla capacità materna di ascolto, empatia e vicinanza, si trasformano in elementi Alfa, ossia il bambino impara a riconoscere ciò che sente e a dargli un nome.
Nelle storie di pazienti psicosomatici, e spesso di persone che soffrono di ansia, si ritrova una carenza in questo meccanismo di regolazione affettiva.

L’ Alessitimia

Un concetto molto utile perchè ci aiuta a definire la difficoltà nel dare un nome a ciò che si prova, è quello dell’Alessitimia, dal greco Alfa, privativo, lexis, parola, thymos, emozione: mancanza di parole per l’emozione.

Le persone che soffrono di ansia in psicoterapia

Se non si hanno le parole per le emozioni, non sappiamo come discriminarle, nè riconoscerle, nè distinguerle. Per esempio, spesso si hanno esplosioni di pianto senza sapere perchè. Mi è capitato di ascoltare racconti di pianti che arrivano con tante lacrime, e che vanno via così come sono arrivati, come fossero dati da una rottura idraulica!

Per cosa si piange e cosa si sta esprimendo in quel momento, sono tutti aspetti che sembrano mancare all’appello. L’emozione sottostante il pianto rimane indefinita e pertanto, non contattata.

La mia esperienza

La sensazione che ho avvertito spesso dinanzi a questi racconti privi di una coloritura affettiva consapevole,  è lo spaesamento, perchè non vi sono coordinate emotive che possono guidare nel dare senso a quanto si esprime nel e attraverso il corpo.
Mi ha colpito leggere che una delle risonanze emotive più ricorrenti dinanzi a persone che non sanno dare un nome alle proprie emozioni, è la noia.

In effetti, le narrazioni di sè sono lineari, senza indurre un coivolgimento proprio e dell’altro. Con persone che soffrono di ansia,  mi sono dovuta confrontare frequentemente, per esempio,  con innumerevoli sedute fatte di racconti minuziosi legati ai sintomi fisici, come se non si potesse andare oltre.
Più volte mi sono trovata a chiedermi: chi è questa persona? Cosa prova? Che storia ha?

Per fortuna, queste domande che riescono a definirsi in me e che mi portano a cercare in modo condiviso delle risposte, sono la base per creare nuove prospettive con queste persone, nuove narrazioni di sè. Come la madre di Bion, lo psicoterapeuta è chiamato ad assumere la Funzione Alfa, capace di contenere e di dare un senso a ciò che sembra non averne.

L’ansia: un richiamo alla vita

E’ tutto lì sullo sfondo di quel corpo martoriato e perseguitato: c’è la propria storia, ciò che abbiamo vissuto e non elaborato, traumi, perdite, relazioni disfunzionali e grandi vuoti rimasti tali. Ad un certo punto, è come se ci riempissimo fino al colmo di tanta vita non sentita, e se essa non trova accoglimento coscientemente, si esprime nel corpo, COSTRINGENDOCI ad ascoltarla, in modo estremo certo, ma forse il RICHIAMO alla vita non può che essere tale.

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