La depressione

Cause, sintomi e risoluzione. Come affrontarla?

Com’è la persona depressa? Cosa le è accaduto?

In superficie si può scorgere facilmente la tristezza che la pervade. Basta osservare gli occhi spenti e velati, Il corpo “crollato”, giù di tono, come se avesse “ceduto” al peso di un qualcosa che ormai era difficile da sostenere. Vinta, rassegnata, completamente in balia di pensieri angoscianti e senza via d’uscita.
Gli studi e le esperienze in psicoterapia hanno trovato delle cause ricorrenti per spiegare tale condizione.

La distinzione di Freud

Inizialmente Freud mise a confronto le emozioni derivanti da un lutto a quelle dalla melanconia, proponendo una sostanziale differenza: nella prima esperienza si ha la sensazione che il mondo esterno si sia impoverito di qualcosa o qualcuno (ad esempio la perdita di una persona); nel secondo caso ciò che sembra essere perduto riguarda il proprio mondo interno, una parte di sè. Ci si percepisce danneggiati, costantemente attaccati e feriti. Da cosa? Ciò che sembra essere costante è un’aggressività che ci si rivolge contro con pensieri giudicanti, critici e svalutanti.

Quali sono le radici di queste ferite autoinflitte?

Esse sono da ricercare all’interno delle relazioni significative vissute nella prima età.
“Sono egoista! “Sono cattivo”, “Non valgo niente”, “Non faccio abbastanza”, “Faccio schifo”, sono tutte frasi che si dicono le persone depresse, e che sembrano provenire da un lontano passato, in particolare, da genitori che sono stati effettivamente ipercritici, ipersvalutanti, freddi, distanti. “Sei cattivo!” si trasforma dentro in “Sono cattivo”.
Pur di “salvare” la propria figura di riferimento e mantenerla vicina a sé, la si introietta dentro, facendo propria anche quella cattiveria subita nella relazione.

Cos’è l’ introiezione?

L’introiezione è un meccanismo di difesa mediante il quale aspetti del mondo esterno divengono propri. E’ un meccanismo protettivo, perché lenisce sensazioni interne fortemente angoscianti.
Come elemento costruttivo della depressione, l’introiezione si impiega per gestire il trauma della perdita, reale o percepita sul piano emotivo. Nelle storie cliniche di pazienti depressi spesso emerge il racconto di lutti precoci di figure di riferimento, o di relazioni disfunzionali, dove non sono stati dati affetto e cure a sufficienza, piene di agiti e parole dette senza pensare al peso che poteva gravare sulle fragili spalle dei bambini. Genitori poco empatici, che non hanno rispettato l’amore che i loro figli erano “comunque” disposti a dare, pur di averlo. Come Hansel e Gretel, che pur abbandonati nel bosco dal padre, vogliono ritornare da lui, nonostante la scelta paterna abbia minacciato la loro vita. Un esempio di come si possa continuare ad amare, senza sentire rabbia per la ferita subita. Hansel e Gretel pensano ad un padre amorevole che li aspetta, piuttosto che ad un padre che li ha lasciati andare, perché non sarebbe stato possibile reggere all’angoscia del bosco e alla crudeltà della strega, senza immaginare un ritorno ed una riunione possibile con il proprio genitore.
Questa è l’azione dell’introiezione per loro, e che contestualizzata nella storia di ognuno, si può ritrovare nei depressi: da un lato, Hansel e Gretel introiettano un padre costruendo dentro un’immagine idealizzata alla quale rapportarsi, mentre dall’altro, tutti i suoi aspetti negativi diventeranno parte di sé, proteggendo in questo modo la prima immagine, necessaria per non sentirsi soli e cadere nel vuoto affettivo.

Gramellini nel suo libro “Fai bei sogni” * descrive cosa voglia dire essere lasciati soli e che conseguenze produce:

“Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La più grande è non essere amati più. (…) quando un sentimento ricambiato cessa di esserlo, si interrompe brutalmente il flusso di un’energia condivisa. Chi è stato abbandonato si considera assaggiato e sputato come una caramella cattiva. Colpevole di qualcosa d’indefinito”. (Fai bei sogni, pag. 28-29).

Riferire a sé le cause di una terribile sensazione di deprivazione affettiva come quella derivante da un abbandono, è un cercare di sopravvivere, perché si può percepire un senso di controllo se tutto il “male” viene da me e “rimane” dentro di me, con tutto il senso di colpa che questo determina.
Chi è depresso si sente in colpa per ciò che pensa, per ciò che dice, per quello che fa; nel profondo si sente in colpa di esistere. Questo è devastante, perché nullifica la propria psiche e vitalità.
Un esempio di questa distruttività psichica, ma anche di resistenza ad essa, si può ritrovare nella “Storia Infinita” di Micheal Ende, dove il Nulla minaccia il mondo di Fantàsia ed i suoi abitanti, perché gli uomini non danno più valore all’immaginazione. Una storia che parla di un mondo fantastico, ma che prende avvio da una vicenda umana di perdita: Bastiano, un bambino, perde la madre, e questo evento segnerà il rapporto con suo padre, un uomo che pressato dall’angoscia per il lutto della moglie e per le responsabilità genitoriali e lavorative, diviene distante sia concretamente che emotivamente. Bastiano vive quindi una doppia perdita, e vi reagisce attingendo alle sue risorse interne. Il viaggio di Bastiano nel regno di Fantàsia e tutte le avventure che lo porteranno a difenderlo, è infatti simbolicamente il suo viaggio, volto a proteggere le parti vitali, la “sua” fantasia, dal Nulla che gli abbandoni subiti sembrano minacciosamente portare con loro. Non a caso, quando tutto sarà compiuto ed il regno di Fantàsia salvo, Bastiano esprime la sua rabbia ed il suo dolore al padre, condividendo finalmente le emozioni per il lutto che li ha feriti entrambi, scongiurandone in tal modo la rimozione dal Sé.
Il depresso invece, cerca di essere “buono” con gli altri, trattenendo dentro ciò che egli ha imparato a ritenere cattivo, come l’aggressività. Questa è un’operazione inconsapevole che porta ad essere intimamente convinti di non meritare l’amore, perché l’altro non conosce “veramente” che persona spregevole si crede di essere. La conseguenza di questo meccanismo è che il depresso non tirerà mai più fuori la sua rabbia, perché teme che se lo farà, sarà abbandonato nuovamente. Quante relazioni in età adulta si fondano su questo meccanismo? Quante persone subiscono, anche le peggiori violenze, senza opporre resistenza?
Trattenere dentro le proprie emozioni ed i propri bisogni significa reprimerli, “pressarli” fino a devitalizzarli. Così facendo, queste parti si perdono ed il Sé ne risulta deprivato. Tenendo a mente questo, è davvero comprensibile la profonda prostrazione che vivono le persone depresse. Quella mancanza di piacere nel fare le cose, l’assenza di energia, la costante sensazione di rassegnazione perché non c’è speranza in nulla. Tutto questo sembra essere il risultato degli attacchi sferzati contro di sé. Sono l’Anima ed il corpo sopraffatti che sembrano gemere e lamentarsi perché non ne possono più.

Cosa fare? Come si esce dalla depressione?

La psicoterapia è un percorso molto utile, perché può fornire una relazione terapeutica nella quale poter esprimere finalmente quanto soppresso nella propria esistenza. Condividere il proprio mondo interno, parlare dei propri pensieri negativi, del senso di colpa, delle accuse è il primo passo per avvicinare quel vuoto lasciato dalla perdita di parti di sé. Chi è depresso sa bene cosa voglia dire sentire costantemente quel vuoto dentro. Per quanto possa essere debilitante, tuttavia è una sensazione “necessaria” perché oltre ad emanare tristezza, parla anche di un limite che si è raggiunto, oltre il quale c’è una minaccia seria alla propria vita. La depressione sembra giungere per manifestare questo pericolo, lo mette in scena, ed è solo accogliendo cosa stanno rappresentando i suoi sintomi, che si può iniziare ad attuare un cambiamento. In questa prospettiva, la depressione assume la funzione di proteggere la persona perché le sta inviando un segnale di allarme.
Il percorso terapeutico consiste dapprima nel dare spazio all’aggressività autoinflitta, cercando di comprenderne le origini. Successivamente, si cerca di riconoscere quanto è andato perduto di sé, e rimanendo nel vuoto, si tenta di ritrovarlo e rivitalizzarlo. Sentire ed esprimere la rabbia ed il dolore per esempio, determina la loro integrazione in Sé, restituendo un senso di “Esserci” e di completezza che fa sentire o risentire vivi.
Tutto ciò può accadere grazie alla relazione terapeutica, un legame che può restituire il diritto ad essere per come si è, quello che fu negato o che ci si è negati inconsciamente.
Se lo psicoterapeuta regge l’angoscia e la tristezza della persona depressa, se accoglie la sua rabbia senza giudizio e critica, può offrire una relazione nutriente perché il paziente si sente di poter esprimere sé stesso, senza incorrere in alcuna minaccia.

A volte, per la gravità dei sintomi depressivi, è necessario l’intervento psicofarmacologico, che aiuta a contenere l’ombra devitalizzante della depressione, creando lo spazio per il percorso psicoterapeutico. Associare farmaci e psicoterapia è pertanto molto proficuo.

Conclusioni

Ho compiuto fin qui un difficile viaggio, cercando di toccare in profondità il malessere portato dalla depressione.
Evidenziando le cause più frequenti di questo disturbo, ed i meccanismi psichici che si mettono in atto responsabili del suo radicamento nell’animo, ho suggerito anche uno spiraglio di speranza:
la depressione porta a vivere senza vita, ma parla nel contempo di una vita che non si sta vivendo da molto tempo.
Accogliere questo messaggio può portare a proseguire l’esistenza inseguendo altri orizzonti. I propri.
*Gramellini perde la madre suicida quando era piccolo. Nel libro descrive come questo evento lo abbia segnato, i sentimenti provati ed i meccanismi psichici adottati per sopravvivervi.
Fonti bibliografiche:
“La diagnosi psicoanalitica”, McWilliams, 1994, Astrolabio.
“Fai bei sogni”, Massimo Grammellini.
“La storia Infinita”, Micheal Ende.
Per approfondire

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